Disturbo ossessivo compulsivo

Disturbo ossessivo compulsivo Reggio Emilia

Il disturbo ossessivo – compulsivo (DOC) è una problematica che riguarda il 2-3% della popolazione generale. Tende ad insorgere in adolescenza o nella prima età adulta, anche se si riscontrano numerosi casi di DOC con esordio nell’infanzia. Il disturbo è caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni.

Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi intrusivi che creano forte disagio e che la persona cerca attivamente di mandare via, generalmente senza successo. La persona riconosce che le ossessioni sono eccessive o insensate, anche se una minoranza di pazienti non le considera esagerate.

È possibile raggruppare le ossessioni in tre gruppi:

  • pensieri legati alla paura di arrecare un danno a se stessi o ad altri: l’aspetto principale di questo gruppo di ossessioni sta nel fatto che il soggetto teme che, a causa di una propria leggerezza o disattenzione, possa capitare qualcosa di brutto a qualcuno (anche a se stesso). Ad es., a causa di un mancato lavaggio di mani qualcuno potrebbe essere infettato da una pericolosa malattia. Per chi soffre di DOC il problema non sta nel danno causato in sé ma nel fatto di sentirsi il responsabile.
  • Timori legati alla contaminazione: in questo caso la contaminazione non è legata alla possibilità di infettarsi o infettare qualcun altro (si tratterebbe in questo caso di arrecare un danno per cui sarebbe un’ossessione che rientrerebbe nella categoria precedente), bensì fa riferimento ad una sensazione di disgusto che la persona non riesce a tollerare
  • Ossessioni legate all’identità personale: si tratta di quei casi in cui il contenuto dell’ossessione contrasta con l’idea che la persona ha di sé, ad esempio il pensiero di far male al proprio figlio, che potrebbe contrastare con l’idea di sé di essere un buon padre e una persona per bene.

Le compulsioni sono azioni che l’individuo mette in atto per ridurre la sofferenza che deriva dalle ossessioni. Possono essere azioni manifeste (lavarsi le mani, aprire e chiudere più volte la manopola del gas, ecc.) oppure attività mentali (conteggi, evocare immagini mentali neutralizzanti l’ossessione, ecc.)
Come le ossessioni anche le compulsioni si possono suddividere in gruppi:

  • Decontaminazione: si tratta di azioni volte a scongiurare la possibilità di essere stati contaminati da un agente esterno (o di poter contaminare qualcun altro)
  • Controllo: per esempio verificare più e più volte di aver chiuso l’auto oppure la manopola del gas.
  • Rituali magici o superstiziosi: si tratta di azioni compiute in una maniera specifica che cercano di scongiurare la sensazione che, altrimenti, possa accadere qualcosa di spiacevole, ad esempio contare fino a cinque ogni volta che si esce da una stanza.

Il cuore del DOC è dato dalle ossessioni: sono queste che generano la sofferenza e che “costringono “ la persona a mettere in atto le compulsioni. A tal proposito sottolineiamo che la compulsione è un atto volontario, non è un tic, per cui la persona sceglie sempre di metterla in atto. Tuttavia, se non lo facesse starebbe così male che finisce per farlo: da qui deriva la sensazione di costrizione nell’effettuarle. Le compulsioni, pur non essendo il nucleo psicopatologico del disturbo, sono l’elemento che spesso porta le persone a chiedere aiuto poiché possono diventare talmente pervasive e richiedere così tanto tempo ed energie da compromettere fortemente la qualità di vita delle persone.

Le compulsioni non sono l’unico modo che chi soffre di DOC utilizza per gestire la sofferenza causata dalle ossessioni: anche le rassicurazioni (chieste ad altre persone o auto procurate ad es. cercando informazioni su internet) e il rimuginio (che ha sempre uno scopo rassicurante) hanno la valenza di ridurre l’ansia generata dalle ossessioni.

Nel 1978 due studiosi, Rachman e de Silva, hanno dimostrato che le ossessioni non sono una peculiarità del DOC ma sono sperimentate dal 95% della popolazione generale. Che differenza c’è dunque fra chi ha il DOC e chi non ce l’ha? Proviamo a spiegare questo punto mediante due esempi:

Gianni è andato a fare compere in un negozio. Al momento di pagare estrae dalla tasca posteriore dei pantaloni il proprio portafogli ed afferra una banconota da 20 € allungandola alla cassiera. Nel momento in cui la cassiera prende la banconota tra le dita, nella mente di Gianni si affaccia questo pensiero: “Chissà quante persone hanno toccato prima di me questa banconota”. Per Gianni non si tratta, però, di un semplice pensiero, ma di una minaccia che, nel giro di pochi istanti, si fa sempre più concreta. La sua mente fornisce dettagli sempre più precisi: “Sicuramente l’hanno toccata tante persone e fra queste ci sarà stato di certo qualcuno con una grave malattia. Non solo, una malattia grave contagiosa ed avrà contaminato quella banconota. Ora potrei contrarre io quella malattia dato che abbiamo toccato la stessa banconota e potrei contagiare a mia volta mia moglie e i miei figli.” A questo punto, di fronte alla prospettiva di ammalarsi gravemente e contagiare tutta la propria famiglia, Gianni sperimenta un’ansia molto forte che sta per sfociare in terrore vero e proprio. Gianni deve fare assolutamente qualcosa per calmarsi e l’unica cosa che lo calmerebbe in questo momento è scongiurare i tragici eventi che gli si sono formati nella mente. A questo punto Gianni chiede alla commessa di usare il bagno dei dipendenti. Una volta in bagno inizia a lavarsi le mani nella speranza di eliminare il possibile contagio. Terminato il lavaggio, Gianni è un po’ più tranquillo ma non del tutto; la sua mente gli ricorda che un lavaggio solo non è sufficiente perché potrebbero essere sopravvissuti alcuni agenti contaminanti. Ecco che, per tranquillizzarsi ulteriormente, inizia un altro lavaggio, e così via fino a che non si sente sufficientemente tranquillo. Gianni esce dal bagno dei dipendenti dopo essersi lavato le mani per 15 minuti. La tranquillità di Gianni tuttavia durerà fino a quando un altro pensiero lo avviserà che potrebbe aver toccato qualcosa di infetto (la maniglia di una porta, una ringhiera, un giornale al bar, ecc.).  Gianni si lava le mani dalle 20 alle 30 volte al giorno ed ha iniziato ad evitare tutti i luoghi pubblici in cui potrebbe contaminarsi, non invita più persone a casa e costringe i famigliari a impegnativi rituali di decontaminazione quando rientrano a casa dopo essere usciti. La vita di Gianni è fortemente compromessa.

Vediamo cosa accade invece ad una persona che non soffre di DOC

Tina è al bar e come tutte le mattine consuma la sua colazione. Al momento di pagare allunga una banconota al barista e nella sua mente si affaccia il pensiero: “Chissà quante persone hanno già toccato questa banconota? Potrebbe essere un veicolo di malattie”. Tina a questo punto percepisce una lieve sensazione d’ansia al pensiero di una possibile malattia, tuttavia la sua mente non rimane fissa su quel pensiero ma sposta la sua attenzione sulle monete datele come resto dalla barista e conta l’esattezza del resto. Dopodiché, l’attenzione di Tina, mentre esce dal bar, si focalizza sulla pianificazione della giornata di lavoro che sta andando ad affrontare. Tina non è più in ansia e nemmeno si ricorda più di aver pensato ad un possibile contagio. Tina ora è al lavoro pienamente concentrata su quello che sta facendo.

Questi esempi ci illustrano che la problematica del DOC non sta nell’avere pensieri intrusivi, cosa che, abbiamo già detto essere comune a tutta la popolazione, bensì sta nell’incapacità della mente di prendere le distanze da pensieri che generano il cosiddetto dubbio ossessivo. Questo dubbio (potrei infettarmi con una malattia, potrei non avere chiuso il gas, potrei fare del male a mio figlio) è così lacerante che la persona deve fare assolutamente qualcosa per farlo scomparire. È a questo punto che vengono messe in atto le compulsioni o le altre strategie (richiesta di rassicurazioni o rimuginio) con lo scopo, appunto, di placare l’ansia che nasce dal dubbio.

Un'altra strategia per la gestione del dubbio è rappresentata dall’evitamento, ossia dallo stare lontani da tutte quelle situazioni che si ipotizza possano scatenare le ossessioni. Come abbiamo visto nell’esempio precedente, Gianni ad un certo punto inizia ad evitare tutti i luoghi in cui potrebbe venire a contatto con agenti infettanti.

Cosa si può fare?

La terapia cognitivo - comportamentale ha dimostrato di essere particolarmente efficace nel trattamento del disturbo ossessivo compulsivo riducendo notevolmente l’impatto delle ossessioni e rendendo libera la persona dalle compulsioni.